Quante volte arricciamo il naso quando non capiamo il comportamento di una persona, e anche se non pronunciamo un giudizio a voce, questo é ben incasellato ed in mostra sul nostro viso, come un quadro alla parete dei nostri pensieri: è quando una vecchietta che, emanando un olezzo di urina, si tiene stretta la borsa davanti per paura, o quando al supermercato una anziano signore esce con riluttanza e tirchieria le monetine da un borsellino antico che ben sta sopra un como d'antiquariato o quando uno straniero ci mostra con aria indifferente, che traduciamo per strafottenza, la propria condizione di vita vissuta sulla soglia della povertà. Ci curiamo delle nostre sensazione a pelle e raramente pensiamo che ogni vecchietto spesso ha un nipote che fa sorridere con dolcezza e ogni immigrato ha una sorellina, nella propria terra, che incanta con i racconti sul nuovo mondo.
E´raro, ma succede, che si incontra un vecchio un pó burbero che raccoglie i fili di rame dai cavi buttati fra i rifiuti e le pagine bianche di quaderni abbandonati, sopravvissuti alle elementari di bimbi, ormai ai primi amori. Potrebbe essere che quel vecchio, proprio grazie alla sua tenacia di reputare importante anche il superfluo, sia riuscito a sopravvivere ad Auschwitz. Ed allora il nostro sguardo avrebbe tanti lucciconi ed il disprezzo ci scenderebbe in gola, deglutito con un fumettistico "gulp", assieme al senso di colpa di essere solo sensibili.
Uno di questi vecchi é stato sicuramente Vladek Spiegelman, padre di Art, un fumettista americano che decide di raccontare la vita del padre ebreo, scampato ad Auschwitz. E lo fa con il linguaggio metaforico del fumetto, che riesce a trasformare ogni popolo e nazione in una specie animale.